Se avessi mille euro a disposizione e non fossi soddisfatto della vita che sto vivendo, non li spenderei per sedute dallo psicologo, ma comprerei un biglietto aereo, chiuderei lo zaino in un quarto d’ora e partirei.
Fermo restando l’utilità medica, in alcuni casi, della psicologia, prendendo spunto da un articolo apparso su “La mente è meravigliosa”, mi piacerebbe soffermarmi su come il viaggio possa davvero risolvere problemi che ci trasciniamo dietro magari da tanti anni, molti di questi, figli della routine e della “normalizzazione” della società in cui viviamo.
Se pensi che l’avventura sia pericolosa, prova la routine. E’ letale (Paulo Coelho)
L’uomo è nato nomade e, nel corso dei secoli, ha scelto di vivere nelle città e nei centri urbani, ambienti forse più sicuri dal punto di vista prettamente fisico (no animali feroci, no notti fredde, no caldo torrido, no malattie endemiche), ma molto più pericolosi dal punto di vista mentale.
Le città, con i loro schemi, orari, regole (più o meno intelligenti) immobilizzano gli esseri umani come in una tela di ragno e, dato che il processo non avviene da un giorno all’altro, non ci accorgiamo realmente di quello che ci sta accadendo fin quando non ci ritroviamo vecchi e stanchi e magari senza aver vissuto la vita che sognavamo.
Tra vent’anni sarai più deluso dalle cose che non hai fatto che da quelle che hai fatto. (Mark Twain)
Viaggiare, quindi, diventa uno shock positivo, come mettere la testa in una vasca di acqua gelida, tornare a governare la nostra mente, riscoprire sentimenti, sensazioni, stimoli, sensi che non pensavamo più di avere. Ed ecco che la routine, così come mattone dopo mattone si era costruita, si sgretola piano piano, la guardiamo e ci sembra una grigia prigione e ci sembra così strano che eravamo noi i prigionieri di quella stanza di ovatta grigia.
Il viaggio dà benessere, perché torniamo a necessità umane primordiali, come il desiderio di esplorare (che è innato nei bambini), la sete di scoperta e la necessità di sorprenderci ancora.
Scopriamo che viaggiare significa abitare territori che non conosciamo, di cui non sappiamo le reazioni, li avvertiamo come territori stupendamente imprevedibili, ma la genialità del viaggio sta proprio nel trovare in questa incertezza una sana voglia di avventura, e molto meno un prevedibile nervosismo come succederebbe a casa nostra verso ciò che non conosciamo. I viaggiatori più incalliti sono quelli che, in qualche modo, dipendono da questa adrenalina, che la cercano istante dopo istante.
Quando partiamo per un viaggio, c’è un istante in cui usciamo dallo steccato del recinto della nostra zona di comfort, quella zona “farabutta” (permettetemi il termine) in cui anche se non stiamo bene, ci stiamo bene a forza, perché secondo la mente umana, meglio qualcosa di non buono per noi ma che conosciamo, che ambire a qualcosa di meglio che, però, non conosciamo affatto.
Uscire dalla zona di comfort è il primo passo verso la luce, verso la fase di riattivazione delle nostre abilità intellettuali, fisiche, sociali ed emozionali.
Viaggiare significa rendersi conto che siamo capaci di risolvere problemi e sfide costantemente, parlare lingue che non avevamo mai studiato e, magari, trovare il modo di prendere l’ultimo autobus per uscire da una zona remota dell’outback australiano e capire che per farlo non è utile un click del mouse e nemmeno un like su facebook.
Il viaggio non soltanto allarga la mente: le dà forma. (Bruce Chatwin, da Anatomia dell’irrequietezza)
Aprire gli occhi al mattino e non trovare la nostra stanza, non sentire i rumori dei soliti vicini, guardare fuori dalla finestra e pensare: “Ma dove mi trovo? Che ci faccio qui? Ma è bellissimo!”. Viaggiare è cambiare contesto, cambiare orizzonte ogni giorno con la certezza del regalo che ci fa il mondo per darci le cose migliori in modo gratuito.
Viaggiare è riscoprire il valore del nostro “guardare soggettivo”, riscoprire il nostro parere nei confronti delle cose, il giudizio leale sulle cose, riscoprire l’importanza che ha la diversità (tradizioni, tribù, stili di vita, religioni) per il reale miglioramento di noi stessi.
In definitiva: viaggio in autobus nella giungla vietnamita batte lettino bianco dello psicologo 3 a 0.