Nel 1977, lo scrittore ed esploratore britannico Bruce Chatwin diede alle stampe “In Patagonia” che divenne un successo mondiale tanto che iniziò ad essere paragonato alla stessa stregua di Mandeville’s Travels, Alexander Kinglake’s Eothen e Robert Byron’s The Road To Oxiana.
Perchè è un libro così importante? Senza dubbio perché In Patagonia rivoluzionò il modo di scrivere la letteratura di viaggio. Se, fino a quel momento, era un “tema assegnato” (una tribù, una montagna, etc) ad animare la partenza, in questo caso fu la curiosità estrema di Bruce a spingerlo a partire per arrivare alla “fine del mondo”. Infatti, proprio interessandosi ad un pezzo di pelle di brontosauro trovato nella vetrinetta di una parente che Bruce intraprese questo viaggio.
Altro fattore distintivo è la forma di scrittura che Bruce adottò, una forma abbagliante, spesso superba e presuntuosa, come a ricordare la personalità dell’autore.
Il libro è organizzato in 97 brani brevi, senza alcun titolo, in cui Chatwin racconta i suoi spostamenti da luogo a luogo e, soprattutto le persone che incontra lungo la strada. I temi del nomadismo e del vagabondare spesso escono fuori come fosse un’esigenza primaria dello scrittore quella di parlarne per auto giustificare il suo vagabondare.
Ad una prima lettura si ha l’impressione che dettagli e immagini siano apparentemente senza collegamenti, ma con una attenta lettura, ogni cosa comincia ad assumere la sua giusta posizione ed a creare quell’ambiente, quello scenario, quell’orizzonte che concede il reale significato dello scritto.
Non aveva un bel carattere, questo suo lato è divenuto famoso quanto il valore dei libri che scrisse. Forse è stato questo l’ingrediente segreto della sua riuscita letteraria?
In Patagonia, un libro che dovrebbe essere letto da chiunque metta il piede fuori di casa.